Una settimana in Olanda

Dal 2 Aprile al 7 Aprile si è tenuto lo scambio culturale.
Noi studenti Italiani siamo stati ospitati da alcuni studenti Olandesi, che avevamo precedentemente ospitato a Roma nelle nostre case; il luogo in cui abbiamo vissuto per questa settimana è Houten, nella provincia di Utrecht.
Per noi studenti è stata una bellissima esperienza visitare un posto nuovo, in Olanda c’è davvero tanto verde e gli abitanti ci tengono al loro paese: su numerosi tetti ci sono pannelli solari, possiamo trovare diversi tetti verdi, non ci sono tanti rifiuti per terra! Il rispetto per l’ambiente è un loro valore fondamentale.
L’ultimo giorno siamo stati al mercato dei fiori di Amsterdam, un famoso mercato in cui si possono trovare tantissime piante diverse, ad esempio siamo stati colpiti dalle calle nere (mai viste prima d’ora qui).
Questa esperienza non ci è servita solo dal punto di vista didattico (dell’inglese, delle piante e della letteratura) ma anche per la nostra formazione, per scoprire, capire e vivere in pieno un’altra cultura.
Viaggiare è straordinario, aderire a questi progetti fa crescere e matura nel profondo.
Ringraziamo la professoressa Claudia Coletta, il professor Marco Di Girolamo e il professor Roberto Casalini per averci accompagnati in questa entusiasmante avventura e, ultimi ma non ultimi, anche i nostri genitori per averci consentito di partecipare a questo progetto.

Vi lascio di seguito questa toccante lettera intitolata “Lettera aperta ai genitori: fate viaggiare i vostri figli”

Cari genitori, fate viaggiare i vostri figli.

So che di fronte a queste parole molti di voi diranno che è difficile. Qualcuno penserà subito all’aspetto economico, altri alla lontananza, altri ancora proveranno paura e vorranno cacciare questo pensiero. Non vi preoccupate, è normale. Io ero esattamente come voi quando mia figlia, dopo il primo anno di università, mi ha detto di voler partire per un anno all’estero.

Non potevo e non volevo accettarlo. Per me che sono vedovo, oltretutto, era quasi inconcepibile l’idea che la mia unica figlia se ne andasse. Mi sono sentito abbandonato, ho pensato che avrei perso ogni punto di riferimento nella mia esistenza. Non potevo crederci e mi sono immediatamente opposto: le ho detto di no, che non appoggiavo la sua scelta e non volevo che se ne andasse.

Lei non ha fatto una piega, ha accettato e mi ha detto che non sarebbe partita, che non c’era nessun problema. A quel punto, ho capito. Non lo dimenticherò mai quel momento, perché è stato lì che ho capito tutto: viaggiare non è una questione personale. Non è una fuga. È semplicemente un percorso di crescita. E ora lo posso dire con certezza, con il famoso senno di poi: un giovane che non viaggia, non cresce!

Quella stessa sera non riuscii a dormire, nonostante avessi la certezza che mia figlia sarebbe rimasta a casa con me. Non dormivo perché pensavo alle opportunità che le stavo negando. Proprio io che raccontavo con orgoglio di quella volta in cui da ragazzo partii per Londra per cercare fortuna, tornando a casa qualche tempo dopo con pochi soldi ma il cuore e l’anima piena di belle cose.

Proprio io che provavo un senso di disagio talmente forte da rasentare la vergogna quando vedevo, sul lavoro, ventenni che portano il curriculum, carichi di speranze che verranno inevitabilmente infrante. Proprio io che, guardandomi intorno in questa grigia città del nord Italia, mi chiedevo quale futuro potessero avere mia figlia e i suoi coetanei, sperando che almeno loro ne vedessero uno. Io non lo vedevo.

Quella stessa notte ho capito che non potevo fermarla. Non potevo farle un torto del genere, non potevo mettere la mia persona a intralciare il suo percorso di vita. Voleva provare un’esperienza di un anno in Australia, e chi ero io per impedirglielo? Quale diritto avevo per infrangere sul nascere il suo sogno?

Viaggiare è costoso, è vero. Ma cari genitori, vi assicuro che non c’è nessuna formazione migliore per i vostri figli. I soldi che spendete per farli viaggiare sono i migliori soldi che spenderete nella vostra vita.

Lasciare andare un figlio è doloroso. La distanza vi logorerà, vi farà stare male. Ma con il tempo capirete che non lo avete abbandonato, e soprattutto che lui/lei non ha abbandonato voi. Forse ve ne renderete conto solo alla fine, quando lo vedrete tornare: avete lasciato partire un ragazzino e vi troverete davanti un adulto, che nella maggior parte dei casi sarà più felice e realizzato.

Non esiste una soddisfazione più grande di questa per un genitore. Non c’è niente di meglio, specialmente se hai deciso di essere parte di questa crescita e non di ostacolarla.

Come faccio a sapere tutto questo? Quella famosa prima notte non ho chiuso occhio ma ho preso una grande decisione: avrei pagato il biglietto aereo per l’Australia a mia figlia. Quando gliel’ho detto era incredula, ma aveva capito tutto ciò che avevo attraversato. Mi ha detto “ti voglio bene, papà” e in quelle parole c’è tutto quello che un genitore può desiderare.

È partita poche settimane dopo. Non mi importava nulla che saltasse un anno di università, ciò che volevo era che vivesse un’esperienza che non avrebbe mai più dimenticato. Le ho pagato il volo e le ho dato una piccola somma, ma le ho fatto capire che poi se la sarebbe dovuta cavare da sola. Fa male dire una cosa del genere alla propria figlia, ma i sentimenti non dovrebbero mai ostacolarci nella strada verso i nostri obiettivi.

È stata in Australia per un anno intero. Il primo periodo è stato difficile, passavo le giornate a chiedermi cosa facesse e se stesse bene. Non è stato semplice stare da solo, ma lo rifarei mille volte. Non cambierei una virgola, le direi di andare, divertirsi, conoscere il mondo e crescere. Viviamo in un’epoca in cui tutto questo si può fare davvero, con qualche piccolo sacrificio.

Mia figlia ha lavorato in tre città diverse. Ha raccolto ortaggi nelle zone più remote del paese, ha servito ai tavoli di un ristorante e ha lavorato in una biblioteca. Ha imparato l’inglese, ha imparato a conoscere il mondo del lavoro e il valore dei soldi. Ma soprattutto ha imparato ad essere indipendente, ad avere una mentalità più aperta e a rispettare il prossimo senza guardare il colore della sua pelle, il suo accento, la sua professione o la sua educazione.

Mia figlia è diventata così grande in Australia, da farmi sentire quasi inadeguato come genitore. Il viaggio le ha insegnato molto più di quanto avrei mai potuto fare io, perché un papà è necessario quando si è bambini, ma quando si ha vent’anni niente ti insegna meglio la vita quanto l’esperienza. E viaggiare è l’esperienza più intensa, la più importante.

Questa lezione non l’ha imparata solo lei, l’ho imparata anche io. Con il passare del tempo, la sofferenza per la mancanza si è trasformata in entusiasmo: non volevo sentirla solo per sapere che era viva e stava bene, ma per conoscere il suo percorso. Fremevo dalla voglia di scoprire i suoi piccoli successi: il primo colloquio in inglese, il primo lavoro in regola della sua vita, il primo stipendio, la prima sera fuori con amici australiani, la sua prima automobile. In altre parole, il suo primo vero viaggio in solitaria.

E questo entusiasmo mi ha contagiato al punto di far crescere dentro di me un’idea folle e meravigliosa: perché non prendermi tre settimane di ferie e raggiungerla? Gliel’ho proposto quasi timidamente, pensando che mi avrebbe detto in imbarazzo che era una pessima idea. E invece era felicissima, mi ha risposto di andare il prima possibile.

Così, caricato dalle sue parole di stima, sono partito davvero. Il 21 settembre 2016, a 56 anni, mi sono imbarcato da Malpensa in direzione Australia. Non ero mai stato così lontano da casa, non prendevo un aereo da dieci anni e non parlavo in inglese da venti. Ero spaventato e insicuro di fronte a questo mondo che va avanti così veloce, ma avevo dentro di me un’energia nuova, che mi aveva trasmesso mia figlia: quella di viaggiare e scoprire e rimanere sbalordito di fronte alla bellezza dell’inaspettato.

Mia figlia mi ha accolto all’aeroporto di Sydney e non ce l’abbiamo fatta: siamo scoppiati a piangere. Mi ha detto grazie, mi ha detto che suo padre era proprio “cool”. Poi siamo partiti per un giro dell’Australia di due settimane, io e lei su un camper. Abbiamo visto deserti sconfinati, laghi viola e canguri aggressivi. Abbiamo dormito sotto le stelle così come per vent’anni avevamo dormito sotto lo stesso tetto.

È stato bellissimo e indimenticabile. Quando penso che tutto questo non sarebbe successo se non le avessi permesso di partire, mi viene da urlare una cosa a gran voce: genitori, fate viaggiare i vostri figli!

fonte: http://www.mangiaviviviaggia.com/lettera-fate-viaggiare-i-vostri-figli/

Informazioni su Alessandra Marenga

Attualmente frequento il corso Magistrale di Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione. Laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi Roma Tre, con un anno di anticipo e votazione 110/110 e Lode, discutendo una tesi sperimentale intitolata:"La percezione e il linguaggio del "mondo mai visto"". Appassionata al mondo social, ho iniziato gestendo gli account del mio liceo e di un progetto sperimentale di orticoltura. Successivamente, ho lavorato come Social Media Manager per due aziende di cosmesi americane. Gestisco da cinque anni un blog legato a temi culturali, nato dopo aver vinto un concorso letterario de La Repubblica in collaborazione United Network. Ho collaborato per mesi con la rivista italiana Leggere:Tutti. Da sempre attenta a cogliere le occasioni e a scegliere il meglio per il mio futuro: la volontà e la tenacia sono tratti che mi contraddistinguono.
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Una risposta a Una settimana in Olanda

  1. Maryam ha detto:

    L’ha ribloggato su myheadfullofdreams.

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